In questi giorni imperversa la discussione sulla riforma della scuola in vista dell’attesissimo Consiglio dei Ministri del 29 agosto in cui saranno presentate le linee guida del Governo. Bisogna evitare, innanzitutto, che le urgenze dell'agenda politica privilegino la velocità a discapito dell'approfondimento e della condivisione.
Non voglio entrare nel dettaglio delle preposte: non sono un insegnante, provo solo ad avanzare alcuni spunti da ex studente che ha amato la scuola e che molto la ama ancora.
1. Aperta a tutti. Difendere la scuola pubblica perché è ancora oggi un motivo di vanto e una ragione d’orgoglio del nostro Paese. “Pubblica” non in termini oppositivi rispetto alla formazione privata o d'élite, ma come paradigma reale dell’art. 34 della Costituzione: “La scuola è aperta a tutti”. Una scuola che sappia riconoscere tutte le intelligenze di tutti i ragazzi, "non uno in meno". Uno spazio d'inclusione e d'integrazione delle diversità, dove studenti di età diverse e con vissuti del tutto differenti condividono il tempo, le parole, le gioie ma anche le fatiche. Un laboratorio di cittadinanza, libero e plurale, in cui gli studenti non siano visti come consumatori o divisi per potere d'acquisto (Priulla).
2. "Merito", dispersione, equità.
Abbiamo bisogno di una scuola che sappia valorizzare le eccellenze e includere le marginalità. In questi anni si è parlato molto (e anche un po' a sproposito) di "meritocrazia", dimenticando che essa non funziona in una scuola senza equità come quella italiana. Il che non significa né dequalificare l’insegnamento né diventare “buonisti”, ma capire i trend e le contraddizioni della mobilità sociale. Secondo i dati OCSE-PISA in Italia le differenze non risultano dalle attitudini individuali, ma sono la combinazione di 3 fattori determinanti: la scuola che frequenti, il contesto geografico, il livello d'istruzione dei genitori. Così la funzione di bilanciamento sociale viene a mancare. I tassi di abbandono scolastico sono quasi nulli tra i figli di laureati (2,9%) e di genitori che svolgono professioni specializzate (3,9%), mentre sono altissimi tra i figli di genitori che hanno frequentato solo la scuola dell’obbligo (27,7%) e di genitori che svolgono professioni non qualificate (31,2%). Ma la scuola che punta solo sui migliori non è la scuola migliore. Al contrario, i Paesi con gli standards qualitativi migliori (tra gli altri, la Finlandia) hanno tassi di dispersione prossimi allo zero. Da questo punto di vista cruciale è il ruolo svolto dalla scuola dell'infanzia e dalle opportunità educative che un territorio è complessivamente in grado di offrire.
3. Retribuzioni. Solo il 12% degli insegnanti si sente apprezzato e considera ben valutato il proprio lavoro. Migliorare e restituire fiducia si può: le retribuzioni, in generale, devono essere adeguate ai livelli europei, ancor prima di ogni ulteriore valutazione specifica o premiale. Per questo è necessario metter mano al blocco degli scatti stipendiali e rinnovare il contratto nazionale degli insegnanti, fermo al 2007. Inoltre, la qualità dell’insegnamento dev’essere misurata a partire dal lavoro in aula, che è quello più importante. Le soluzioni organizzative delle “ore” o delle “funzioni organizzative” in più legate ai progetti non funziona. Un cattivo insegnante resta tale anche se diventa vicepreside o torna a scuola al pomeriggio. Al contrario, spesso i docenti migliori svolgono solo attività d’aula, ma lo fanno molto bene. Costringerli ad una corsa per accaparrarsi responsabilità organizzative sarebbe solo demotivante per loro e dequalificante per il sistema formativo. Da questo punto di vista, il corpo docente è ormai aperto all’idea della valutazione, ma il sistema INVALSI si è rivelato inadeguato e troppo standardizzato. Si può pensare, invece, ad un sistema più profondo e più corretto che apra le classi stesse al giudizio di alunni, genitori, insegnanti stessi e valutatori esterni, e punti infine alla formazione permanente degli insegnanti, dalla scuola dell'infanzia fino alle superiori.
4. Reclutamento. Più del 50% degli insegnanti italiani ha 50 anni o più, con una media che si assesta sui 48,9 anni; soltanto l’1% degli insegnanti ha meno di 30 anni. Una classe docente più giovane è inevitabilmente una classe docente più motivata. Il Governo procederà all’immissione a ruolo di 29 mila nuovi docenti assunti sia dalle graduatorie ad esaurimento sia dai vincitori senza cattedra del 2012. Circostanza, questa, che si concilierebbe con il nuovo concorso previsto per i primi mesi del 2015 e con l’impegno ad immettere in ruolo circa 100 mila insegnanti nei prossimi 3 anni. Ma non bisogna dimenticare che nei prossimi anni andrà in pensione il 40% del corpo docente: da questo punto di vista il turn over al 40% è insufficiente. Se si vuole davvero “cambiare verso” alla scuola, bisognerebbe bandire il concorso ogni due anni, senza penalizzare i precari “storici” (e prevedendo per questi ultimi una quota di accesso pari al 50% dei posti complessivi).Infine, bisogna definire una volta per tutte la questione dei percorsi abilitanti (TFA e PAS), prevedendo una laurea specialistica con tirocinio abilitante. Ma dev’essere chiaro, una volta per tutte, superando il caos normativo degli ultimi anni.
5. Didattica. La scuola post-unitaria ha costruito una trasmissione simbolica dell’identità nazionale; quella del Dopoguerra ha insegnato a leggere e a scrivere: nient’altro, ma già così fu una rivoluzione. Quale compito assegniamo alla scuola contemporanea? Il mito della produttività e dell’efficienza ha ridefinito priorità e curiosità: formativo è diventato sinonimo di utile, e utile – a sua volta – ormai significa utile subito. Per questo è necessario superare il dibattito stucchevole sulla scuola professionalizzante, che vedeva la mitologia della “scuola del fare” contrapposta a quella del sapere. Non si tratta soltanto di saper fare, ma soprattutto di dare senso alle cose che si fanno. La matematica, la letteratura, la storia e la geografia, la musica e la geometria, tutte assieme, costituiscono l’asse culturale di quel patrimonio immateriale che aiuta a decifrare la complessità del mondo. Senza eludere il fatto che questa trasmissione ha bisogno di profondità e di lentezza, di sedimentazione e di elaborazione, cioè ingredienti del tutto diversi rispetto a quelli proposti dalla logica del “furore dissipativo” del nostro tempo. Benissimo quindi la reintroduzione di storia e geografia negli istituti tecnici e la valorizzazione di storia dell’arte e musica. Ma dobbiamo recuperare per davvero una “visione”, come dice la Ministra Giannini, e chiarire sin dall’inizio a che tipo di cittadinanza vogliamo aspirare.
6. Privati. Qui le anticipazioni non anticipano molto. Non è utile banalizzare o demonizzare l’idea; il punto è un altro, ossia non illudersi. Più volte in questi anni si è invocato l’aiuto dei privati, ma situazione economica è sotto gli occhi di tutti e, almeno per il momento, non sembra lasciar intravedere grossi miglioramenti. Nel Paese con il tasso di investimenti in innovazione e ricerca più basso d’Europa, quanti privati saranno disposti ad “aiutare” le scuole? Peraltro, per le Università, già la riforma Gelmini aveva previsto il coinvolgimento di e enti e società private mediante l’indicazione di membri esterni nei CdA degli Atenei. Ma deve essere chiaro che questo modello non ha affatto generato risorse aggiuntive per il sistema universitario che, anzi, resta incagliato in una decadenza sempre più evidente.
come docente di matematica e scienze dal 1982,registro purtroppo una decadenza progressiva del ruolo stesso di insegnante. Credo non tanto attribuibile alla mancanza di fondi o di liquidità dello stipendio, piuttosto all'infiltrazione di troppe e dispersive attività che poco hanno a che fare con l'apprendimento e la maturazione personale. Vedi tutti quei progetti cui siamo tenuti ad aderire per incrementare il fondo d'istituto, ma che tolgono tempo prezioso per lo studio, la riflessione, l'elaborazione personale, l'analisi di un testo con esercizio della logica, insomma tutto ciò che si sviluppa intorno all'apprendimento vero e proprio.
Scritto da Maddalena Telò in data 27 agosto 2014 alle 16:49