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Le Unioni civili e gli appelli all'obiezione di coscienza dei cattolici. Dichiarazione del senatore Giorgio Pagliari

21 ottobre 2015

Pubblicato in: Articoli G. Pagliari

Allegati Faq Unioni Civili

Alcuni vescovi  hanno recentemente rivolto appelli ai cattolici impegnati in politica affinché facciano obiezione di coscienza sulle unioni civili. Come politico abituato a metterci la faccia, sento il dovere di rispondere a quell’appello con questa riflessione. Dico subito che un cattolico impegnato in Parlamento non può fare obiezione di coscienza su questi temi. Personalmente, penso che lo possa fare solo in caso di violazione di principi costituzionali, non in caso di contrasto con la propria credenza religiosa. Perché, diversamente, si cadrebbe nella logica dello Stato etico.

Una delle frasi più emblematiche di Papa Francesco è, per me, quella che più o meno recita: “Chi sono io per giudicare?”. Mi pare che sia la giusta chiave per evitare il ritorno alle logiche dei guelfi e dei ghibellini, o a quella degli opposti integralismi, anche nel confronto in atto sulle unioni civili.

Per me, come cittadino e come parlamentare, il riferimento non può che essere quello costituzionale che regola i diritti della Persona. Come posso, alla luce degli articoli 2 (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…”) e 3 (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali…”) della Costituzione, anteporre le mie convinzioni personali di natura religiosa, o pensare di imporre alla società la visione di una religione?

Io, come cattolico, sento il dovere di testimoniare, nella quotidianità, le mie convinzioni e la mia visione religiosa della vita. Ma non posso pretendere che queste debbano essere imposte a tutti, anche a chi sia ateo, agnostico o di altra fede. Perché la libertà della Persona è costituzionalmente sacra. E se il punto dirimente è questo, nel caso specifico devo riconoscere il diritto degli affetti e della loro formalizzazione anche a chi convive “more uxorio” o vive una relazione affettiva di carattere omosessuale.

L’articolo 3 dice che “é compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana….”. Mentre l’articolo 29 insiste sul valore della famiglia e del matrimonio (“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”). Come questi concetti troveranno sintesi nella legge sulle unioni civili e sulle convivenze non mi è dato di preconizzare. E’, però opinione condivisa che la disciplina non debba creare confusione tra fattispecie (matrimonio, unioni civili e convivenza) che sono, ontologicamente diverse.

Mi permetto invece di dire la mia sulle due principali questioni ancora aperte: quella successoria e quella delle adozioni.

Nel primo caso, ritengo che la disciplina successoria dovrebbe far salvi i diritti maturati nel contesto di matrimoni precedentemente contratti dai partner delle unioni civili.

Sul delicatissimo tema dell’adozione, penso che la riflessione debba partire dal diritto alla continuità affettiva del bambino, che è una creatura quale che sia il metodo di concepimento. Tale continuità affettiva può essere realizzata anche con l’”affido rafforzato” (ammesso fino al 18esimo anno di età), che potrebbe essere accompagnato dalla previsione dell'adottabilità da parte dell'altro partner, in caso di morte del padre o della madre naturali.



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