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Vescovi (PD). Cocaina e tifo violento

17 marzo 2017

Pubblicato in: Gruppo PD Comune PR

“Ventisei arresti per traffico e spaccio di droga a Bergamo tra i tifosi dell’Atalanta. È il risultato dell’operazione “Mai una gioia” - il nome deriva da un coro tipico degli ultras, riportato anche in uno striscione allo stadio - coordinata dalla polizia di stato. Undici persone sono in carcere, 7 ai domiciliari, 3 hanno l’obbligo di dimora e 5 hanno l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Per tutti le accuse sono di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, rapina e resistenza a pubblico ufficiale.”

La Stampa-Chiara Baldi, marzo 2017.

La notizia dei giorni scorsi sul mondo ultràs atalantino dà un ulteriore spunto per una riflessione sulle correlazioni fra uso di cocaina e violenza, dentro e fuori lo stadio. In questo squallido caso, lo stadio, da luogo di sport, di agonismo schietto e sana competizione, si trasforma in crocevia di atti criminosi, di incontri fra balordi privi di scrupoli, avvezzi al malaffare e alla delinquenza. Acquisto e consumo di droghe prima delle partite, per “caricarsi” ed essere ancor più violenti. Riti preparatori – se non propiziatori – all’esercizio di una brutalità ottusa e inutile, a base di coca sniffata nei bagni. Il binomio droga-violenza ancora una volta fa parlare di sé, si prende spazi mediatici, ma soprattutto suscita sdegno, rabbia, riprovazione. Anche se non sorprende. Ormai, infatti, è un’evidenza. La cocaina fa il paio con una molteplicità di stati e di condizioni, è invischiata in troppe circostanze drammatiche, delittuose, cattive, perché la sua chiamata in correo possa apparire cosa nuova. Innumerevoli sono i riscontri dei legami perversi fra la polvere bianca e diversi stati disfunzionali dell’organismo e della personalità. Coca e depressione, coca e disagio relazionale, in un effetto paradosso che fa della polvere bianca, assunta come euforizzante e regina dello sballo facile – sniffata o iniettata in vena, alla ricerca di piacere, di gratificazione e di coraggio “a buon mercato” – una perfida spirale di comportamenti incontrollati, di disinibizione sfrenata, di ricerca del cedimento agli impulsi, di disorientamento, di dispercezione della realtà e dei contesti. Ma anche coca e bullismo, coca e intimidazioni, coca e stupri. Questi aspetti devastanti, connessi all’uso abituale e frequente della cocaina, spesso in mix con altre sostanze ed alcolici, sono purtroppo ormai noti e ribaditi a cadenza inquietante.

Sta di fatto che il nodo della concomitanza fra assunzione di cocaina e comportamenti violenti – connotati dalla spregiudicata sfrontatezza – se rapportato ai dati di notevole incremento assoluto e relativo di uso/abuso di sostanze fra la popolazione di ogni età e fascia sociale getta un fascio di luce sinistra su un problema che rischia di lacerare ulteriormente – con danni gravi e pesanti – un tessuto sociale già vistosamente marcato da forme diverse di disagio, soprattutto giovanile. Per non parlare della tragica relazione causale fra uso di sostanze e sciagure stradali, visti i drammatici esiti che si constatano sulle strade, dove la scia di sangue delle vittime di incidenti gravissimi e mortali fa tristemente il paio con un’altra scia: quella della coca, appunto. Con buona certezza si può concludere allora che l’uso abituale di cocaina non è più un fenomeno di élite come in passato, ed inoltre è purtroppo sufficientemente assodato che il primo incontro con la coca avviene in età sempre più precoce, anche a partire dai 14 anni. Il tutto entro una circolarità viziosa che caratterizza il mercato della coca: incremento vertiginoso delle richiesta, aumento della presenza di sostanza sulla piazza, diminuzione del prezzo, crescita del numero sia degli assuntori abituali sia dei tossicodipendenti.

Quindi, sono incontrovertibili le connessioni fra uso e abuso di sostanze ed eventi nefasti conseguenti alla perdita della lucidità e del controllo comportamentale e/o che afferiscono allo spettro delle manifestazioni violente, con effetti che giungono al compimento di gesti estremi, condivisi con “il branco” o posti in essere individualmente, sotto l’influenza di droghe. Ma non è solo di cocaina che occorre parlare e non è solo nelle case, nei festini privati, nei  bagni dei bar che avviene il consumo di droghe. Così come la geografia del paese è la più varia. Infatti, si va dalle aule scolastiche alle strade prospicienti le scuole, alle vie – le normali trafficate vie – delle città italiane, metropoli come Milano e Torino in testa, ma anche i capoluoghi del benestante nord-est, dalle discoteche ai “templi” del calcio, resi caldi da scontri, tafferugli e rappresaglie/vendette di gruppo.

Contesti situazionali e relazioni molteplici e diversi, nei quali tuttavia la presenza degli stupefacenti risulta denominatore comune. Provando a fare un’analisi, a variare possono essere i tristi binomi che vedono alcune droghe più frequentemente associate a particolari categorie di assuntori: la cannabis, appannaggio degli studenti e delle gangs di adolescenti; la cocaina, come già rilevato, che scorre a fiumi fra i gruppi più eterogenei di giovani e giovani adulti, fra  manager rampanti e pseudo manager (in giacca e cravatta), fra operai e impiegati del ceto medio-basso, tra il tifo organizzato e quello meno strutturato. Tuttavia, ogni generalizzazione, qualunque tentativo di individuare “regolarità” entro un fenomeno multiforme, tentacolare e complesso come quello dell’uso/abuso di sostanze, è fuorviante. Sullo sfondo, il dato dell’abitudine al poliabuso di sostanze, la percezione soggettiva del rapporto con gli stupefacenti, il sistema di attribuzione di significati – personali e sociali – connessi all’esperienza dell’utilizzo di droghe.

E’ evidente che queste considerazioni, purtroppo, non contribuiscono, sic et simpliciter, all’individuazione delle soluzioni alla problematica, enorme e sconfortante, della quota di inaccettabile, cieca e assurda violenza che connota molti comportamenti individuali e di gruppo. Di fronte a individui esagitati, l’interpretazione tossicologica della spinta aggressiva prevale su quella antropologica. Ed è altrettanto palese che non è da provvedimenti normativi improntati alla “tolleranza zero” – oltretutto solo demagogicamente annunciata in slogan che ormai non sono nemmeno più ad effetto – invocati all’indomani di ogni episodio di cruda barbarie, che può venire un aiuto reale ed efficace. Tuttavia, l’obiettiva e lucida analisi dei fenomeni sociali non deve prescindere dalla considerazione seria di tutti i fattori e delle componenti in gioco. Quindi anche dall’evidenza della diffusione di cocaina ed altre sostanze nelle nostre città, fra le pieghe del loro tessuto sociale, con un andamento in crescita e con accentuazioni smaccatamente forti a danno di soggetti – anagraficamente, socialmente, culturalmente – meno protetti rispetto alla concomitante possibilità di cedere alla violenza come espressione ed affermazione di sé.   Questo, ovviamente, chiama tutti, a partire dai singoli che decidono di far uso di sostanze stupefacenti e di cocaina in particolare, convinti di avere sempre e comunque il controllo in rapporto ai potenziali esiti di dipendenza, alle proprie responsabilità.

Chiama in causa prima di tutto i genitori, che molte volte abdicano al proprio ruolo di figure di riferimento, di ascolto, di sostegno per i propri figli; chiama in causa gli amministratori locali, più attenti a quanto avviene nei loro territori, sul versante – fondamentale ma non unico – del contrasto dell’attività di spaccio di quanto non siano attivi, in prima linea, nell’azione di prevenzione. Chiama in causa una politica balbettante, che continua a cincischiare, ciclicamente appagata da provvedimenti legislativi tanto roboanti quanto palesemente inefficaci, stanti appunto le cifre allarmanti relative ai consumi. E chiama in causa il mondo della medicina e quello dello sport, che troppe volte lanciano messaggi confusivi sia sugli effetti devastanti dell’uso di sostanze sia sulle misure da invocare con fermezza quando la contiguità con l’utilizzo di sostanze stupefacenti coinvolge sportivi e tifosi. Il connubio droga-violenza, non più identificabile tout court solo con i fatti di microcriminalità commessi dai “tossici” – scippi, piccoli furti, rapine “con la siringa” – di qualche anno fa, chiama in causa proprio tutti, nessuno escluso. Senza permettersi più e oltre di imboccare la scorciatoia di una generica attribuzione di responsabilità e doveri di auto-correzione alla “società” e alla “scuola”.  
 


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