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12 settembre 2009: Pagliari: "Le ragioni del mio sostegno a Dario Franceschini e Mariangela Bastico"



La ragione del mio impegno nella contesa congressuale del PD è, quasi paradossalmente (ma non troppo), esterna alla logica partitica: la situazione politica italiana, che sta subendo una pericolosa e sempre più marcata involuzione antidemocratica, richiede infatti un impegno a tutti i livelli.
In questa fase, la presenza di un PD forte e credibile è una necessità di tenuta del sistema democratico. Bisogna, però, che il PD risulti davvero forte e credibile, ma non tanto tra i quadri e/o tra gli iscritti, quanto piuttosto (e soprattutto) tra la gente.
Una delle cause della sconfitta del 2008 e della successiva perdita di consenso è da individuare, a mio parere, nello scarso appeal esercitato dal PD sull'elettorato, in una fase di profonda disillusione nei confronti della politica. Lungi dal dover essere legato alle probabili crescenti disavventure del PDL, il recupero (o l'acquisizione) della capacità attrattiva del PD è essenzialmente legato, a mio parere, all'assunzione della responsabilità di un progetto politico chiaro e netto, accompagnato da soluzioni programmatiche parimenti chiare e nette.
Finora, tutt'al contrario, il PD si è caratterizzato per essere (sul piano politico, socio-economico e dei diritti fondamentali) un partito "amletico": solidarista ed a-solidarista; laico e portatore tanto dell'integralismo religioso, quanto di quello laicista; filo-imprenditoriale e anti-imprenditoriale; "laburista" anti-centrodestra berlusconiano...ma non troppo.
La causa di questo atteggiamento è da riconoscersi nell'incapacità, di parte della classe dirigente, di vivere la fisiologia del sistema democratico, che assegna allo sconfitto il compito di costruire la propria rivincita non sullo scacchiere parlamentare e partitico, ma su quello della proposta politica. Questo atteggiamento non è più accettabile. Il PD è giunto al punto di dover dire, finalmente, "chi è".
Il PD che io vedo è il partito che rivendica l'indipendenza e l'autonoma responsabilità decisionale del potere politico per realizzare una società giusta e solidale, per tutti e contro nessuno; è un partito capace di portare a sintesi, in nome dell'interesse generale, tutti gli interessi particolari, nella consapevolezza che la loro contrapposizione è originata da visioni corporative, o classiste, o oligarchiche, che non consentono la crescita complessiva, ma solo la sopraffazione nei confronti dei soggetti di volta in volta più deboli.
In questa prospettiva, è chiaro che, ad esempio, il problema del PD è quello di realizzare un programma, in virtù del quale la crescita comunitaria si realizzi in termini di equità sociale, contemperando l'interesse imprenditoriale e quello dei lavoratori.
Il compito è senz'altro arduo e non è adatto se non ad un partito strutturato, animato da effettiva democrazia interna e, per questo, capace di superare l'attuale stagione dell'impegno politico come mera scommessa individuale. Deve trattarsi di un partito fortemente radicato nella società e nel territorio, convinto che il suo compito non è di realizzare la propria "pace interna", ma quello di essere in dialogo - reale e bilaterale - con la società civile e di giocare su questo piano l'investitura popolare per la guida del Paese e delle comunità locali.
È un partito consapevole della stringente necessità di una vera, seria e finanche radicale riforma della giustizia, il cui attuale stato genera, insieme, senso di impunità, senso di oppressione e promozione della logica del "più furbo" (=furbastro): tema che, purtroppo, è assente da tutti i programmi.
È un partito, ancora, che non può non caratterizzarsi per una concezione della questione morale quale postulata da Enrico Berlinguer e da Benigno Zaccagnini, inequivocabilmente lontana dal partito degli affari e da quello delle collateralità.
Un partito di questo tipo, infine, non è attraversato da battaglie generazionali, ma è proiettato alla formazione, alla selezione ed alla crescita della propria classe dirigente, non passando per categorie formali, ma piuttosto per una responsabile condivisione dei principi della temporaneità nella titolarità delle funzioni politiche, che si esercitano a servizio della comunità, e della fungibilità delle Persone dimostratesi impegnate, competenti, responsabili e autonome: tutto il contrario di tristi "yes men".
Questo PD non è né un partito di centro, né un partito di sinistra: deve preoccuparsi dei contenuti e non delle etichette, considerato - e lo dico ai nostalgici di queste - che, preoccupandosi delle etichette e non della Politica, si ha avuto l'effetto del deflusso del voto dei ceti popolari verso il non-voto o, ancora, verso altre forze, che sono state capaci, seppur in termini illusionistici, di rendersi credibili.
In altre parole, il PD deve rilanciare, non resistere: proporre con coraggio, schierandosi a partire dai temi socio-economici, cioè dai temi che attraggono l'attenzione perché attengono al quotidiano e costituiscono il parametro del gradimento elettorale.
Il problema, in altre parole, è di essere (e di testimoniare con i comportamenti, prima che con le dichiarazioni) un vero partito democratico. Nella ricerca di tale risultato, il protagonismo ideologico (o pseudo tale), che ha concorso a vanificare le vittorie elettorali del 1996 e del 2001, rischia di essere un ostacolo anche all'interno al PD, al pari di un certo vezzo intellettualistico di taluni massimi dirigenti.
Queste sono le mie attuali convinzioni, in ragione delle quali, confrontando le proposte dei tre candidati, ho maturato l'appoggio a Dario Franceschini, cui tutti (compresi gli attuali avversari alla carica di Segretario) dovrebbero riconoscere di aver salvato il PD, e che sta dimostrando il coraggio di parole chiare e non di comodo, di merito e non retoriche, e a Mariangela Bastico, il cui prestigio e la cui esperienza sono una garanzia per una Segreteria Regionale capace di essere un'interlocutrice vera della società emiliano-romagnola.




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