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21 ottobre 2009: Giorgio Pagliari: "Votare a favore di Dario Franceschini e di Mariangela Bastico è decisivo"



L'attuale momento di drammatica crisi della democrazia italiana ha bisogno di un'opposizione forte e credibile. Una partecipazione popolare significativa darebbe al Partito Democratico quella legittimazione, già acquisita con le primarie del 2007 e dissipata per una serie di errori, che non è il caso di ripercorrere.
Votare a favore di Dario Franceschini e di Mariangela Bastico è decisivo!
E' necessario, infatti, accelerare un processo di costruzione del nuovo partito e non di un partito "rimesso a nuovo". Il problema non è di etichette, ma di contenuti.
Ci vuole la convinzione che la scommessa non si vince con il pensiero debole o con la navigazione a vista, con il tatticismo esasperato e senza una versione strategica, con la riduzione della politica ad un confronto tra Dirigenti e con la relegazione dell'elettorato e dei militanti ad un riferimento retorico e non effettivo.


Non si può correre il rischio di ritrovarsi di fronte ad operazioni come l'abortito governo Meccanico della fine del 1995, come il patto della crostata, come il fallimento della Bicamerale, come l'ambiguità nel rapporto con il Cavaliere con conseguente rinunzia alla legge sul conflitto di interessi e ad interventi abrogativi delle leggi "ad personam". E l'elenco purtroppo potrebbe continuare: sarebbe molto più lungo di quello dei veri responsabili di questa pagina triste della storia del centro - sinistra, tra i quali spicca un ex - presidente del Consiglio, che da anni dichiara finita la propria stagione politica, ma che conduce in prima fila, "primus inter pares"  con Pierluigi Bersani, la battaglia congressuale, dimostrandosi deciso solo nello stroncare gli avversari interni con toni e modi più che datati.


A chi giova? a nessuno!


Il PD - come dicono le Persone per strada o nei luoghi di ritrovo e i commentatori politici - ha bisogno di qualificarsi per la visione della società e per le proposte programmatiche relative ai drammatici problemi quotidiani, dimostrando, senza timidezze, una vera volontà riformatrice.


Bisogna assumere, con decisione (che non è furore ideologico),  una prospettiva del tutto estranea alla logica della contrapposizione degli interessi o delle classi e a quella dell'interclassismo.
E' necessario partire dal recupero della piena autonomia e dell'indipendenza dalla funzione politica rispetto a tutti gli interessi e costruire un indirizzo di  governo fondato sulla solidarietà e, quindi, sull'interesse generale.
La sfida non può essere, quindi, né al "lavoro" né all'"impresa", né alle "professioni", né alle "piccole e medie imprese"; la sfida deve essere rivolta  - e in termini inclusivi - alla società italiana nel suo complesso e a tutte le sue componenti, chiamandole  a concorrere alla riforma del paese, cioè ad una scommessa di tutti e di ciascuno, che non ammette né posizioni "deboli", né posizioni "forti": una scommessa, che chiede a tutti di sentirsi parte di un disegno generale, che non penalizza quello individuale, ma che punta a realizzare quest'ultimo nell'ambito dell'obiettivo generale.
Tutto questo non è né di destra, né di sinistra, né di centro: è democratico. O meglio sarà democratico se il PD troverà la guida e le energie necessarie per non dichiararsi a priori forza di sinistra, come si preoccupa Pierluigi Bersani (evidentemente "vittima" del proprio passato), ma per dimostrarsi una forza realmente riformatrice. E questa è l'unica prospettiva credibile per il Partito Democratico, inteso come partito del riformismo (e non del riformismo post '89).


La vittoria elettorale contro il centrodestra attuale non si otterrà, proclamando l'esigenza di dire "qualcosa di sinistra", ma convincendo gli italiani di essere capace di cambiare il paese. E per questo non si può neanche correre il rischio che si pensi che il PD sia la casa solo di chi proviene da una certa storia. La questione è tutto tranne che secondaria.
Franceschini e Bastico hanno dimostrato piena consapevolezza di tutto questo: meritano il riconoscimento dell'investitura.

Giorgio Pagliari




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