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23 luglio 2015: Vescovi (PD): "Chi sono i nuovi poveri? Vi ricordate la social card?"



A chi pensiamo, quale immagine si materializza davanti ai nostri occhi, quando parliamo di poveri, di “nuovi” poveri? Qual è l’identikit del “nuovo” povero? Chi è e quali caratteristiche hail nuovo povero? Pensiamo all’umanità sgranata che siede alle tante mense allestite nelle città per dare un pasto caldo a chi non ha altre alternative? Pensiamo ai migranti che si riversano nelle nostre strade e vivono di espedienti? Pensiamo agli immigrati che stanno nella fila virtuale di coloro che attendono per mesi e mesi un permesso di soggiorno? Alle tante badanti clandestine, trasparenti[o invisibili?] presenze in attesa di materializzarsi? O pensiamo a quelli già regolarizzati, che annaspano per raggiungere un minimo di tranquillità, che guardano al nostro modello di benessere - ormai assediato dalla crisi che avanza ed erode ogni sicurezza - come i bambini (di un tempo) davanti alla vetrina del negozio di giocattoli? Oppure sono i mono-genitori? O gli anziani soli? O le coppie di anziani soli in cui la somma dei bisogni di ciascuno fa aumentare la povertà moltiplicandola per un coefficiente n? O i futuri (e presenti) stabili precari, precari stabili che vedono a rischio la loro “stabilità” professionale e di vita più e peggio dei precari di “ieri”? Oppure sono i malati psichici che vivono la doppia marginalizzazione, famigliare e sociale? O sono i tantissimi abusatori di sostanze in questa nostra food-valley dove non si consumano solo formaggio e prosciutto, ma anche tanta tanta coca?

Chi sono i poveri, oggi? Quanti sono? Possiamo circoscrivere “il fenomeno, o meglio “i” fenomeni” - nuove povertà entro coordinate più certe?

Sicuramente se lo “stereotipo del povero” è messo in discussione dalla frammentazione di questa immagine in un caleidoscopio di figure reali, in carne ed ossa, tante quante sono le diverse povertà, è altrettanto vero che, qualche tempo fa, aveva guadagnato terreno - rapidamente, grazie alla velocità con cui i mezzi di comunicazione e di informazione consentono di rendere adulta, nello spazio di un mattino, ogni creatura neonata - “il prototipo del povero” identificato -vi ricordate? - con il titolare della social card.

Gli italiani avevano potuto veder materializzarsi, davanti ai loro occhi, l’immagine del povero per antonomasia: colui che va a far spesa con la social card (magari vuota). Così, se qualcuno, di fronte alla domanda a bruciapelo (sempre in agguato in un’epoca come la nostra malata di sondaggismo anche fai-da-te) “chi è povero?” si fosse trovato a non avere la risposta pronta, a doverci pensare su, era di certo agevolato: il povero era uno con la social card.

Bastava fare la prova, per verificare. E per rendersi conto anche se questo tipo di provvedimenti non finiscano per ridurre la varietà e la molteplicità ad unicità, rischiando di indurre alla semplificazione la lettura di uno dei fenomeni più complessi del nostro tempo. Un fenomeno, quello dell’impoverimento di una larga parte della società, in atto da ben prima che la “crisi” diventasse denominatore comune dei paesi sviluppati, da nord a sud, da est ad ovest del pianeta.

Non è mia intenzione imbarcarmi in un’analisi critica di queste problematiche, né dal punto di vista della disamina delle relazioni di causa-effetto, né da quello della “prescrizione” di rimedi e terapie. Non ho la presunzione di poter compilare “la” ricetta che contenga “il” farmaco capace di rimettere in salute un paziente affetto da gravissime poli-patologie: un sistema economico-produttivo-finanziario pesantemente compromesso da anni di stravizi ed abusi di ogni tipo.

Da medico di medicina generale, posso dire tuttavia che l’ambulatorio è un osservatorio privilegiato dal quale guardare ai problemi, anche economici e materiali, che affliggono i singoli e le famiglie. Da dietro la scrivania dello studio medico, ascoltando le “persone”, prima ancora che i “pazienti”, è facile (?) leggere il disagio, lo sgomento, l’incredulità che attanagliano tanti, alle prese con le preoccupazioni e gli affanni – la rata del mutuo da pagare, un figlio da far studiare in un’altra città, il lavoro in bilico e quello mai arrivato – che arricchiscono il campionario delle odierne tribolazioni.

E’ un rosario senza fine di problemi – più grandi, più piccoli, con una soluzione a portata di mano oppure destinati a dare il via ad un pericoloso avvitamento su se stessi nella vita di un individuo, di un nucleo – che, da medico, capita sempre più speso di vedere distintamente, come se fossero lì, seduti accanto alla persona che ci parla, dal lato opposto del tavolo. Pazienti in cura magari da anni, dei quali pareva noto il contesto familiare, la storia, che a un tratto appaiono al medico e all’uomo che indossa il camice, gravati da un peso, oppressi da un pensiero che non è solamente quello del disturbo fisico, del malanno che li ha portati in ambulatorio.

Ecco, forse la percezione di questa realtà, del dato incontrovertibile che oggi molte famiglie “normali” sono diventate più povere o stanno diventando “povere” per effetto di un cambiamento di condizioni, a causa di un concatenarsi di situazioni sfavorevoli – contingenti o durevoli – che riducono la capacità economica, il reddito disponibile, è resa più immediata e chiara a quanti lavorano nel campo delle professioni di aiuto. Una consapevolezza ed un’attenzione, tuttavia, che devono divenire patrimonio comune, abilità trasversale.

E’ indispensabile – come uomini e come donne di oggi – che ognuno acquisisca dimestichezza con la intercettazione delle storie di “ordinario impoverimento” nelle quali si ha la ventura di imbattersi, semplicemente vivendo ad occhi ben aperti e mente libera, in mezzo agli altri. E’ opportuno che ognuno sappia capire, sappia individuare la quota di bisogno emergente che chiede di essere, prima di tutto, semplicemente ascoltato, accolto, accettato. Poi, magari, soccorso, sostenuto. E’ importante non farsi guidare da alcuna social card, da nessun stereotipo,tanto meno da qualsiasi pregiudizio o preconcetto che possa fuorviare la nostra comprensione. E allora, libera nos dalla social-card mentale.

L’universo delle “nuove povertà”, certamente e purtroppo, è assai più variegato e frondoso di quanto ogni tentativo di perimetrarlo, di fissarne i confini e di calcolarne gli abitanti possa consentire. Ed è un mondo che per certi versi sfugge alla nostra capacità di descriverlo in modo esauriente, perché popolato anche da tante figure anonime, assolutamente “normali”, ricche però di dignità e della forza di conservare valori e speranze.

Ecco, penso sia questo un elemento sul quale è importante portare la riflessione comune: non esiste un’equazione matematica fra povertà e perdita della dignità personale, fra impoverimento e venir meno del senso etico-morale, dell’onore e dell’onorabilità di ciascun individuo. E, soprattutto, non c’è sinonimia fra “miseria” e “povertà” quando alla seconda non venga concesso di svilire il senso di sé e del valore intrinseco ed inestimabile che appartiene ad ogni persona onesta di cuore e di intelletto.

Questo mi è dato vedere e comprendere, quotidianamente, ascoltando tante storie personali, guardando in faccia le persone, quelle che si siedono di fronte a me e che mi sono note, ma anche scrutando attentamente in viso quelle che mi capita di incontrare. Tante raccontano di sentirsi più povere, molte si sentono fragili per questo, alcune hanno perso la speranza per il proprio futuro. Tutte o quasi hanno conservato intatta la propria dignità e meritano davvero che nessuno possa farle sentire diverse e meno uniche. Di queste riflessioni e di questo ascolto dovrebbe tener conto chi traccia le direttrici di politica e chi disegna progetti sociali e strategie d’intervento e scelte amministrative.

 





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