I”pionieri”della donazione del sangue a Parma furono i facchini del mercato della Ghiaja e dello scalo ferroviario.Uomini che iniziarono a donare perchè era”giusto”,senza chiedere nulla in cambio,nemmeno garanzie sanitarie.Cominciò l'epopea del volontariato del sangue a Parma,vero”cemento sociale” per la nostra comunità.I primi passi del nascente Movimento dei Donatori di Sangue a Parma erano avvenuti nel luglio del’43: come si può desumere leggendo i primi verbali della Sezione cittadina,scarni ed essenziali,dell’epoca. Parma viveva la guerra con le sue ferite e avrebbe conosciuto le sofferenze e le profonde lacerazioni dei bombardamenti.Anni difficili di pene e di patimenti,si faceva fatica a vedere la luce alla fine del tunnel.Quella maledetta guerra mondiale aveva messo in ginocchio Parma e la sua gente.Quando affonda il Titanic non si salva nemmeno chi è in prima classe!Ma-orgogliosamente-qualcuno cominciò a sperare in un futuro migliore per tutti.Proprio in quel ’43 il Comitato Provinciale dei Donatori di Sangue-appena costituitosi- prospettò con forza la necessità di riunire i Donatori attivi in un’unica organizzazione capace di ascoltare le istanze e i bisogni dei malati e al contempo di diffondersi capillarmente nel territorio.
Troppe volte, con sconcerto e senso di impotenza, gli innumerevoli episodi di violenza gratuita e cieca e di arrogante intolleranza,ma anche di inquietante indifferenza che infrangono il quotidiano con-vivere di milioni di individui diversi fra loro – per grammatica dei sentimenti – interrogano le intelligenze circa il “che fare?”, “come intervenire?”, “quali strategie adottare?” per prevenire, contrastare, ridurre – annullare? – la carica di forza distruttiva, in senso lato – insita in molti comportamenti sociali.
Siamo ancora in tempo per colmare il divario che si è prodotto fra l’attuale, diffuso sentire, caratterizzato dalla perdita dei fondamentali e autentici valori della nostra cultura, e cioè della tolleranza, della disponibilità verso l’altro, della lucida intelligenza tesa a costruire ponti di amicizia, di solidarietà, di speranza? Ci sono ancora spazi di manovra per invertire la rotta, per recuperare credibilità ai nostri stessi occhi e a quelli delle future generazioni? E’ utopistico immaginare di avviare da subito un’inversione di tendenza, l’abbandono della voracità dei consumi – non solo dei beni materiali,ma anche dei rapporti, delle relazioni –all’insegna dell’”usa e getta”tutto- per recuperare il senso e il piacere della profondità e dell’autenticità, della durevolezza e della solidità dei legami? Quanta ingenuità o quanto idealismo ci sono nel provare a scommettere sulla riscoperta della capacità di molti ad investire energie e forze personali in una Weltanschaung per una visione della società e dei rapporti interpersonali in cui ogni individuo si veda attribuito un valore primario e assoluto in quanto essere umano, in virtù del proprio peculiare patrimonio di ricchezza interiore.
Sicuramente la prospettiva è quella del lungo periodo. Tuttavia è fondamentale fare qualcosa da subito, ognuno per la propria quota di responsabilità individuale, ognuno secondo le proprie convinzioni ed inclinazioni, ognuno secondo il proprio ruolo e nell’ambito in cui ha scelto di dare un contributo personale. E’ forse retorico dire che occorre partire dalle giovani generazioni. A sentirsi coinvolte in prima persona in questa sfida devono essere le tante associazioni di volontariato che operano sul territorio e che hanno come mission la diffusione della cultura del dono. Fra queste, i gruppi del volontariato del sangue devono-lo hanno sempre fatto- assumere un ruolo chiave. E’ fuori discussione che l’obiettivo prioritario di Avis e Adas, ad esempio, sia quello di raggiungere-e mantenere- il traguardo dell’autosufficienza in campo trasfusionale, L’incremento del numero dei donatori e della raccolta di sangue ed emoderivati è ovviamente un cardine dell’attività e dell’azione di proselitismo che muove le associazioni e i volontari. Tuttavia, insito nello spirito fondativo di queste realtà c’è il tema del dono, della solidarietà, di una disponibilità alla donazione di sé che non attende ricompensa, che è assolutamente disinteressata, che non conosce l’altro e che dall’altro non attende nulla in cambio. C’è una forza dirompente dentro questo messaggio, per chi lo sappia cogliere, valorizzare, diffondere. Ecco perché campagne di informazione e di sensibilizzazione sul volontariato del sangue dentro le scuole, soprattutto nelle primarie, nonostante il target sia ovviamente escluso dal “reclutamento” nelle schiere dei donatori, possono contribuire a veicolare l’essenziale riflessione su un atteggiamento di relazione con il prossimo incentrato sulla solidarietà, sulla presa in carico dell’altro, sull’impegno civile, sulla gratuita e non mercificabile disponibilità ad aprirsi e cogliere i bisogni e le necessità della comunità.
Per questo la donazione del sangue può rappresentare un efficace antidoto contro l’indifferenza e contro i suoi più terribili figli: la violenza, l’arroganza, il razzismo, la cinica mercatizzazione dei rapporti sociali. Perché il volontariato del sangue nasce e cresce dentro i valori della solidarietà incondizionata, nel suo DNA ci sono la responsabilità e l’impegno civile a favore del prossimo e della collettività. Perché dentro ogni donazione c’è un patrimonio valoriale che va ben oltre l’ambito sanitario e le emergenze a questo legate. Perché dietro ogni donazione c’è un retroterra categoriale ben definito, che non ammette contraddizioni, infingimenti ma presuppone scelte individuali e certe, sempre e comunque dalla parte dell’essere umano. Perché chi dona vuole prima di tutto provare ad ascoltare, a comprendere, a mettersi in gioco, ad esserci anonimamente, a tendere la propria mano per unirla a tante altre.