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Vescovi (PD). Pacs negati e unioni civili: ritardi colpevoli

12 febbraio 2016

Pubblicato in: Articoli PD Parma

Ve li ricordate i Pacs? Chissà se i Pacs avrebbero potuto conoscere - un decennio fa!!! - non solo una Pax legislativa ma, quel che conta maggiormente, la Pax derivante dalla più ampia possibile condivisione politica e sociale. Chissà che cosa sarebbe successo se i Pacs fossero ”passati”! Che traccia avrebbero lasciato nel tessuto sociale della nostra comunità nazionale? Avrebbero avuto un ”impatto” - fin da allora - anche sulla coscienza collettiva, per esempio riducendo la piaga violenta dell'omofobia? Quella vicenda, tutta intera, non può non essere oggetto di riflessione. Riflessione sui tempi e sulla ostinata volontà di chi ha voluto frapporsi,  ritardare e procrastinare il riconoscimento di diritti elementari, intesi come diritti civili fondamentali.

La polemica scoppiata all’indomani delle dichiarazioni rese da Romano Prodi sulla questione Pacs, con il corollario scontato - ritrito - del coro di applausi e di fischi, aveva avuto sicuramente il pregio di avere indicato la necessità che si verificassero eventuali, ma precise, convergenze sul tema delicato del riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto. Era una proposta - quella dei Pacs - equilibrata, rispettosa di tutte le sensibilità e formulata in modo garbato, per non urtare tanto o, tanto meno, per collidere. C'era sta una scrupolosa attenzione a non confliggere con le varie anime del paese. Fin dove si era potuto.......

Ciononostante c’era stata l’accusa tagliente rivolta al Professore dal quotidiano della Santa Sede di lacerare la famiglia per qualche manciata di voti in più. Era proprio così? Erano proprio “vere” le motivazioni di quelle critiche? Prodi - dopo tanti sforzi - aveva meritato quella "lapidazione” mediatica? C'era stato lo sforzo di Rosy Bindi nel cercare - lei cattolica osservante docg - di trovare un equilibrio delicato senza rinunciare alla substantia della proposta politica. Era, ed è tuttora, forte la necessità di  affrontare la riflessione non solo in termini di politica intesa come ricerca di equilibri, accordi e intese all’interno del gruppi politici, ma in primis nell’ambito della politica concepita e vissuta come confronto e mediazione fra valori e sensibilità differenti, chiamati ad interagire con le trasformazioni e i mutamenti della società. Quindi, il nodo da sciogliere, allora, diventava quello del grado effettivo di capacità e di disponibilità ad avviare e costruire un confronto costruttivo sui temi di profonda rilevanza valoriale - le cosiddette “questioni eticamente sensibili” - espresso in Italia da parte di tutte le componenti del tessuto sociale, politico, religioso.

Nello specifico dei Pacs l’esigenza di un aperto dibattito che consentisse, o quanto meno provasse a fare chiarezza, era evidentemente forte. Se, infatti, non era per tutti chiaro ed assodato che i Pacs non equivalessero all’equiparazione delle unioni di fatto al matrimonio, per molti era, ed è,, al contrario, assolutamente scontata ed operante l’equiparazione dell’idea di famiglia tradizionale - quella fondata sul matrimonio - all’unica, possibile e concepibile idea di famiglia. In questo senso, stante l’evidente smarginatura del modello unico e  consolidato di unione basato sul matrimonio, emettere giudizi di valore, negare lo status di coppia e i diritti civili conseguenti a un nucleo convivente e costituito sulla base della volontà e della libera scelta, equivale ad una pericolosa subordinazione dei principi laici e repubblicani dello Stato di tutti  a quelli etici e religiosi di alcuni.

Dunque, aprire ai Pacs, non significava creare i presupposti per l’inarrestabile declino della famiglia, ma solamente dare possibilità legale, anche per chi non è coniuge ma compagno o compagna, partner o convivente, di godere di alcuni benefici materiali e del naturale e umano diritto all’assistenza, al conforto, alla presenza, anche nelle circostanze più estreme e difficoltose della vita: legittime aspirazioni e bisogni relazionali intrinseci ad ogni legame di convivenza, di condivisone e di solidarietà quotidiane fra i partner.

Al contrario, chiudere su tutto questo, opporre un rifiuto alle istanze di legalità e di tutela delle garanzie giuridiche per ciascuno, a prescindere dagli orientamenti e dalla scelte nella vita familiare e di coppia voleva  dire precludere al paese la possibilità di compiere un passo in avanti verso la definitiva acquisizione di una piena maturità e della fiducia nella propria capacità di misurarsi, al pari degli altri paesi europei, con la concessione, anche in tema di famiglia e di unioni, dei diritti civili ai singoli. Come mai si sono perduti questi dieci anni con balbettii incomprensibili? Di chi è stata la volontà politica di negare diritti fondamentali? C'era soltanto il desiderio di rallentare la ruota del tempo?

Peccato aver perduto dieci anni in tema di riconoscimento di diritti civil. Il ritardo è costato inutili sofferenze e spreco di energie.  



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