
Il Governo negli ultimi giorni ha imposto una fortissima accelerazione all'iter del disegno di legge Gelmini sulla riforma dell'Università. Il testo verrà infatti portato in aula alla Camera il 5 ottobre, contrariamente a quanto annunciato in precedenza dal Governo, che aveva prospettato che la discussione potesse essere fatta nei mesi successivi.
Comprimere i tempi di discussione alla Camera e liquidare il percorso in due settimane dovendo affrontare argomenti quali la governance degli Atenei, la valutazione del merito, la revisione del sistema nazionale di diritto allo studio e il ruolo della docenza appare assolutamente inadeguato oltre che altamente lesivo dell'efficacia e della dignità stessa del lavoro parlamentare. Questo avviene nel contesto della protesta che soprattutto i ricercatori, ma non solo, stanno portando avanti in moltissimi atenei sia contro i contenuti del DDL Gelmini, che non risolve nessuno dei problemi che affliggono le nostre università, sia contro i tagli imposti dalle ultime due leggi finanziarie che penalizzano fortemente ricerca, didattica e diritto allo studio. A quest'ultimo proposito, è inaccettabile la creazione di un fondo per il merito che, andando contro i dettami costituzionali, slega le condizioni reddituali dall'erogazione delle borse di studio.
La recente decisione di alcuni atenei di ovviare al blocco della didattica da parte dei ricercatori, rimpiazzandoli con docenti a contratto, appare grave, perché tutto il mondo universitario dovrebbe essere unito e chiedere di superare in modo definitivo l'assurda condizione per la quale nell'università italiana ci sono circa 30.000 professori, ma le università non potrebbero funzionare se la didattica non fosse assicurata da oltre 25.000 ricercatori strutturati e da circa 20.000 precari.
L'obiettivo principale di una riforma dovrebbe essere quello di assicurare al Paese un'Università in grado di rispondere alle esigenze degli studenti e di garantire cultura e innovazione. Ma tali obiettivi sono impossibili da raggiungere se al posto delle risorse aggiuntive si programmano tagli indiscriminati. Occorre chiedersi se è lecito pretendere che i ricercatori continuino silenziosamente a svolgere il loro lavoro, rinunciando al diritto di testimoniare che il loro futuro è intimamente legato a quello degli Atenei di cui fanno parte. Occorre anche chiedersi se è lecito istigare il conflitto tra ricercatori, precari e studenti, che sono i soggetti meno tutelati del sistema, con la minaccia di chiamata sistematica dei docenti esterni a contratto, prefigurando peraltro un'offerta didattica inadeguata alle esigenze di formazione degli studenti.
Giacomo Zanni
Dipartimento Università e Ricerca PD